La Moka: FIRST I drink coffee, THEN I do things!

In breve

Questo articolo racconta la storia della Moka Bialetti e spiega i principi di funzionamento di una piccola e straordinaria macchina termodinamica.

Il lettore scoprirà come le istruzioni per la preparazione di un buon caffè siano fornite sulla base dello svolgimento dei fenomeni fisici che avvengono in una caffettiera!

Inoltre l’oggetto Moka, diffuso in tutte le cucine, è diventato, per la sua forma originale e la facilità di utilizzo, un emblema del genio creativo italiano e una vera e propria icona del Made in Italy nel mondo.

Fig. 1

 

Anche se siamo nell’era delle cialde per l’espresso casalingo, chi di noi non ha una Moka in cucina?

 

Un po’ di storia

Nel 1919 il signor Alfonso Bialetti fondò a Crusinallo, frazione di Omegna in provincia di Verbania, un’officina per produrre semilavorati in alluminio poi trasformata nell’Alfonso Bialetti & C.-Fonderia in Conchiglia, che diventò un laboratorio per progettare e realizzare prodotti per il mercato.

All’epoca si trattava di una piccola ditta che da lì a pochi anni sarebbe diventata promotrice di un marchio internazionale.

Nel 1933, dopo aver osservato la moglie che faceva il bucato con una vecchia lisciveuse, una lavatrice a caldaia, Bialetti ebbe l’idea di inventare un prodotto innovativo: la Moka Express, una caffettiera a pressione per preparare il caffè espresso.

Il nome moka (o anche moca) deriva dalla città yemenita di Mokha, uno dei primissimi centri di produzione del caffè, ma con l’introduzione sul mercato della Moka Bialetti, il termine passò rapidamente da nome di un marchio a sinonimo di macchinetta del caffè, che si impose sul mercato per la facilità d’uso.

Nel 1953, quando il figlio Renato trasformò la Bialetti in una vera industria, fu inaugurato il famoso logo, l’omino con i baffi la cui posa non è casuale: presenta infatti un dito alzato, come se fosse al bar nell’atto di ordinare un espresso. Da allora tutte le famiglie italiane, e non solo, avevano la possibilità di poter bere un espresso appena alzati, senza dover andare al bar!

 

Icona del Made in Italy

La Moka, caratterizzata da un disegno industriale italiano famoso in tutto il mondo, è considerata un’icona del Made in Italy; infatti è presente nella collezione permanente del Triennale Design Museum di Milano e del MoMA di New York e, pur avendo subito negli anni lievi modifiche, il disegno è rimasto praticamente invariato nel tempo, con l’originale forma ottagonale che rappresenta uno degli elementi distintivi del prodotto.

Il materiale prescelto per la costruzione fu l’alluminio, utilizzatissimo in Italia in quegli anni, nonché molto apprezzato dai futuristi: si trattava infatti di un metallo luccicante, resistente, leggero, incorruttibile e persino “veloce” (essendo utilizzato per la costruzione degli aerei).

E ancora oggi in milioni di case quei tre pezzi di alluminio o acciaio vengono usati dopo averli avvitati e incastrati tra loro, perché le giornate degli italiani non sono “buone giornate” se non sono accompagnate da qualche tazzina di caffè!

Fig. 2

Componenti della Moka: caldaia, filtro imbuto, guarnizione, piastrina filtro, bricco Bialetti

Come funziona la Moka? 

Se ponessimo questa domanda a più persone, probabilmente molte di loro risponderebbero dicendo che “Il caffè esce dalla colonnina perché spinto dall’acqua in ebollizione che passa attraverso il filtro”. Giusto?

NON ESATTAMENTE!

Potrà sembrare strano, ma un’analisi scientifica corretta, anche se parziale, del funzionamento di una Moka è stata pubblicata su una rivista scientifica solo nel 2007 e l’indagine sperimentale completa è stata fatta nel 2009!

Nelle pubblicazioni antecedenti venivano, infatti, riportate solo spiegazioni parziali o addirittura errate.

Fig. 3

 

 

Istruzioni per l’uso

Si riempie d’acqua il bollitore o caldaia (elemento A) fino a sfiorare il livello della valvola di sicurezza. In una caffettiera classica da 3 tazzine si tratta di versare circa 150 g di acqua.

Sotto il filtro a imbuto si deve lasciare una piccola sacca d’aria, ma il caffè nel filtro non deve toccare l’acqua sottostante. Ciò è molto importante per il funzionamento corretto della Moka!

L’acqua, inoltre, non deve contenere troppi sali disciolti, sia per non lasciare residui nella caffettiera che col tempo potrebbero causarne il malfunzionamento, sia per non alterare il sapore del caffè rendendolo amaro.

Per essere precisi i valori ottimali dei sali minerali disciolti nell’acqua sono: per il calcio < 60 mg/l, per il bicarbonato < 200 mg/l, per il magnesio < 15 mg/l. Quindi, se l’acqua del rubinetto è troppo dura e rende il caffè amaro si può utilizzare l’acqua in bottiglia.

Riempita la caldaia si inserisce il filtro dosatore a forma di imbuto (B), in cui viene posta la polvere di caffè. La quantità inserita non deve essere né poca, né troppa, né troppo pressata, né troppo porosa…

A questo punto viene avvitata la parte superiore, chiamata bricco o raccoglitore (C), dove è presente un secondo filtro, il “filtro piastrina”, il cui scopo è quello di non far passare la polvere del caffè nella bevanda che sta riempiendo il bricco.

 

Funzionamento istante per istante…

Il meccanismo di funzionamento di questo modello di caffettiera è piuttosto semplice da descrivere.

Scaldando l’acqua della caldaia, questa in parte evapora e, via via che la temperatura aumenta, aumenta la pressione del vapore compreso tra il pelo dell’acqua e la parte inferiore del filtro. Perché la pressione sia sufficiente a far risalire l’acqua attraverso l’imbuto, il filtro e lo stretto tubo presente nel bricco, occorre che tale pressione sia leggermente superiore alla somma di due pressioni: quella atmosferica, la pressione agente all’esterno sul filtro, e quella “di filtrazione”, che possiamo definire come la pressione necessaria a far passare un fluido attraverso un mezzo poroso, come la polvere di caffè.

Attenzione a quanto accade: la fiamma sotto la caffettiera non riscalda solo l’acqua, ma anche l’aria sovrastante presente nella caldaia.

Le misure sperimentali hanno mostrato che la miscela aria/vapore non raggiunge mai l’equilibrio con l’acqua che si sta scaldando e rimane sempre a temperature più basse di circa 8 gradi. Aumentando la temperatura, l’aria aumenta la propria pressione, si espande e spinge l’acqua che risale nel filtro, bagnando il caffè.

Solo successivamente l’aumento di temperatura provoca la vaporizzazione dell’acqua e, quindi, anche la pressione del vapore contribuisce a spingere l’acqua verso l’alto.

 

Qualche dato sperimentale

L’estrazione del caffè si mantiene regolare fino a quando il beccuccio del filtro ad imbuto rimane immerso nell’acqua, per circa 120 g sui 150 g iniziali. L’acqua calda non è ancora in ebollizione; gli esperimenti hanno mostrato che l’estrazione comincia quando l’acqua è circa 70 °C.

Contemporaneamente, le particelle di caffè, assorbendo parte dell’acqua si gonfiano, diminuendo progressivamente la porosità del caffè. Da questo momento sono necessarie una pressione e una temperatura più elevate perché l’acqua possa diffondersi nel filtro e risalire la colonnina.

Il primo caffè ha una temperatura molto più bassa di quella dell’acqua presente nella caldaia e dagli studi è emerso che a temperature diverse si estraggono dal caffè componenti aromatiche differenti, alcune desiderabili altre no.

La temperatura ottimale dell’acqua è attorno a 90-93 °C; infatti a temperature molto superiori sono estratte anche componenti aromatiche indesiderabili, che forniscono al caffè note astringenti e bruciate. Se le temperature sono troppo basse non si estraggono componenti fondamentali del caffè, che risulta quindi meno corposo e più acido.

In questa fase la fiamma del fornello deve essere la più bassa possibile per ritardare l’ebollizione dell’acqua. Ormai il livello d’acqua nella caldaia è sceso al di sotto del beccuccio del filtro e inizia la fase vulcanica con una riduzione immediata della pressione.

Tale riduzione manda in ebollizione istantanea l’acqua restante che, mista al vapore, esce sfiatando dalla caffettiera, spruzzando come fosse un vulcano sino a quando l’acqua presente nella caldaia si è esaurita.

Ma… questa fase andrebbe evitata assolutamente e l’ebollizione ritardata il più possibile.

 

Che caffè cattivo! Regole per non fallire.

Quando ci è capitato di preparare male il caffè ed abbiamo detto di averlo bruciato in realtà non è vero! Non lo abbiamo bruciato ma, giungendo troppo velocemente all’ebollizione, abbiamo estratto dalla polvere sostanze dal sapore sgradevole che erano già presenti nel caffè tostato e che lì avrebbero dovuto rimanere!

La strategia per ridurre il problema è quella di spegnere il fuoco quando il caffè sta scendendo lungo la colonnina e tende a staccarsi. Il caffè non deve gorgogliare e spruzzare dall’ugello. Meglio far rimanere un po’ di acqua nella caldaia… il nostro caffè ne guadagnerà in qualità!

Altra regola fondamentale è quella di mescolare il caffè prima di versarlo nella tazzina. Il primo caffè uscito, quello a 70 gradi, è più acido e aromatico, il successivo che si stratifica nel bricco è più caldo ma anche più amaro. E poiché lo strato caldo è già in superficie non si attivano correnti convettive che rimescolerebbero i diversi strati della bevanda e quindi è necessario dare una mescolata prima di servire!

 

Ancora un po’ di Scienza

Abbiamo detto che la Moka utilizza il processo di filtrazione quando l’acqua attraversa lo strato poroso del caffè contenuto nel filtro ad imbuto; tale fenomeno fu studiato, per la prima volta, dall’ingegnere idraulico H. P. G. Darcy (1803-1858).

Darcy formulò una legge empirica di tipo lineare, che mette in relazione la quantità di fluido che passa, in un certo intervallo di tempo, attraverso un filtro di dimensioni note e la differenza di pressione alle due estremità del filtro stesso. La legge tiene conto anche della densità e viscosità del fluido e del coefficiente di filtrazione dipendente dal mezzo poroso.

Le prove sperimentali hanno permesso di scoprire che i coefficienti di filtrazione delle polveri di caffè sono molto simili a quelli della sabbia pulita e non molto fine. Insomma il caffè si comporta come un terreno a grana grossa! E non come l’argilla che, avendo una permeabilità molto molto piccola è considerata impermeabile.

 

Perché è fondamentale riempire correttamente il filtro ad imbuto?

La legge di Darcy è valida e applicabile solo nel caso in cui la filtrazione sia lineare, ossia, in parole semplici, che il fluido si muova attraverso piccoli tubi capillari che si formano nel mezzo poroso, secondo un moto laminare in cui gli strati vicini di fluido hanno velocità simili.

La situazione opposta al moto laminare è il moto turbolento, in cui zone adiacenti del fluido possono avere velocità molto diverse tra loro, creando dei vortici.

Quando comprimiamo troppo la polvere di caffè nell’imbuto ci troviamo nella situazione in cui i capillari del mezzo poroso presentano molte interruzioni che causano moti vorticosi, con fenomeni dissipativi e per mantenere costante il flusso attraverso il filtro sono necessari aumenti di pressione e di temperatura.

Può anche accadere che la polvere troppo pressata impedisca il passaggio dell’acqua e…per nostra fortuna c’è la valvola di sicurezza che impedisce alla Moka di esplodere.

Se, per caso, la polvere è poco pressata non ci sono pericoli di esplosione, ma ciò che uscirà da quella Moka sarà un caffè molto annacquato e disgustoso!

 

In conclusione

Bialetti ha inventato una grande caffettiera, ma senza alcun dubbio è fondamentale la mano del preparatore per poter bere un buon caffè! 

Bibliografia / Sitografia

Bibliografia

  • Emiliano Ricci, La fisica in casa, 2008 Milano, Giunti

Sitografia

Crediti fotografici